Timone
Cresce l'attesa per capire come sarà definito Xi Jinping: dopo essere stato chiamato, tra le altre cose, "nucleo", sembra tutto pronto per nominare il numero uno "timoniere". O qualcosa del genere.
Indice
. Xi Può Fare!
. Intervista a Stefania Stafutti
. I cattivi
. Link della settimana (da fonti cinesi e internazionali)
. *Annuncio*
. Heavy Metal Party
Xi Può Fare!
Il nuovo Mao non è il nuovo Mao senza l’appellativo di “timoniere”. E pare che Xi Jinping sia ormai pronto a sbarrare anche questa casella per il piacere di tutti i giornalisti del mondo, che potranno così sbizzarrirsi a cercare assonanze e differenze tra i due. Come spesso succede con la propaganda del Partito ho questa sensazione: che il Partito sia in grado di irretire nelle sue girandole propagandistiche un po’ tutti.
Come a dire: tenetevi sta cosa del timoniere, così avete qualcosa di cui parlare, tanto poi le cose importanti non ve le diciamo. Non accade solo con Xi: come vedremo sotto, anche la storia della presunta fazione dei cattivi nel comparto sicurezza sembra uno specchietto per le allodole: volete gli oppositori? Eccoli, sono tutti al gabbio.
Insomma rimane questa sensazione che stia accadendo qualcosa ma che sia molto complicato capire cosa; che al di là della sicurezza con cui sembra procedere Xi, non tutto in realtà vada per il verso giusto (e questo non ha niente a che fare con le idiozie sui golpe che abbiamo letto nei giorni scorsi, di cui ho scritto domenica su Instagram).
Intendo un insieme di cose; ma la questione del “timoniere”, se ci pensiamo, è bizzarra: sembra che vogliano appioppare a Xi non proprio “Il timoniere” ma qualcosa di simile, stanno girandoci in torno. Qualcosa che ora potrebbe addirittura apparire qualcosa di più di “timoniere”, ma un domani chissà, qualcosa di meno.
In ogni caso un marchio determinante per ora l’ha dato (ma guarda un po’!) Wang Huning (di cui abbiamo parlato qui, nella newsletter numero 2) riportato dal Quotidiano del Popolo: “Il motivo per cui la causa del partito e del Paese nella nuova era può raggiungere traguardi storici (…) risiede nel fatto che il segretario generale Xi Jinping è al timone e alla guida del pensiero sul socialismo con caratteristiche cinesi nella nuova era”.
Poi oggi, come riportato da Bill Bishop in Sinocism, “C'è una massiccia spinta propagandistica in atto intorno al tema “navigazione”, con ripetuti riferimenti a Xi come variante del timoniere, non con l’espressione 舵手 (duoshou, timoniere) utilizzata per Mao ma con 掌舵掌(linghang zhangduo)”. Bishop propone come traduzione inglese di 掌舵 掌舵 “at the helm”.
In realtà di questa possibilità - che Xi Jinping venga definito “timoniere” come Mao Zedong - si parla da molto tempo. Ad esempio nel novembre del 2021, poco prima del Sesto Plenum, la Reuters riportava che “i funzionari del Partito Comunista Cinese hanno definito il presidente Xi Jinping "timoniere" e "leader del popolo", in segno di sostegno alla sua leadership”.
Ma già nel 2020 se ne parlava, quando Xi Jinping al Quinto Plenum fu definito 领航掌舵 (linghang zhangduo) esattamente come nei giorni scorsi.
Tra l’altro proprio China Media Project ricorda una cosa molto interessante: cioè che “timoniere” non è un termine utilizzato solo nei riguardi di Mao: “Nell'edizione del 18 maggio 1945 del Central Daily News , l'organo di propaganda di punta del Kuomintang, il titolo di un articolo recitava: “Il timoniere della Nuova era cinese” Questo si riferisce, naturalmente, non a Xi Jinping, ma a Chiang Kai-shek”.
E “timoniere” era anche il modo con il quale prima di Mao venivano chiamati Lenin e Stalin sui media del Partito comunista cinese (di tutto questo aveva scritto, sempre nel 2020, anche Willy Wo-Lap Lam).
Intervista a Stefania Stafutti
Stefani Stafutti è Professore ordinario di Lingua e Letteratura Cinese all’Università di Torino. Insieme a Gianmaria Ajiani ha scritto “Colpirne uno per educarne cento, slogan e parole d'ordine per capire la Cina” (Einaudi, 2008)
Visto che sono passati dieci anni, qual è secondo te lo slogan che più contraddistingue l’era di Xi?
Sceglierei uno slogan e una espressione slang cara agli internauti che i regolamenti interni del 2021 hanno bannato dalla rete, perché mi sembrano due aspetti interessanti della stessa società e due buoni esempi di quanto complessa e contraddittoria sia la società cinese.
La prima è la seguente: “Il tempo e le circostanze sono dalla nostra parte”.
时与势在我们一边 shi yu shi zai womende yibian
Nasce nel gennaio del 2021, l’anno delle celebrazioni del centenario del PCC e costituisce una sintesi efficace di quella narrazione politica con funzione soprattutto interna e certamente non esente da nazionalismo con cui il leader ha inteso fare superare al proprio paese il complesso di inferiorità derivante dal cosiddetto “secolo delle umiliazioni”: il messaggio è “Siamo un paese forte e potente ed è ora che ci prendiamo il nostro posto del mondo”.
È un mantra di facile successo, soprattutto in un paese dove il dibattito politico non è libero e dove una massa enorme di persone guarda con favore a una identificazione collettiva con la nuova “potenza”; nutrire questo “orgoglio significa in qualche modo distogliere dall’urgenza dei problemi quotidiani e alimentare l’idea di quella “eccezionalità” – teshu – con la quale si tende a descrivere la storia cinese più recente.
Degli aspetti di eccezionalità ci sono, ma fare leva su questo significa spesso volere sottrarre il paese ai “normali” criteri di giudizio coi quali si guarda allo sviluppo dei paesi del mondo. I cinesi potrebbero obiettare per noi troppo spesso i criteri “normali” sono semplicemente i “nostri”; ciò nondimeno, invocare l’eccezionalità significa chiudere la porta a ogni possibile negoziazione.
L’espressione tang ping zhu yi, è di segno del tutto opposto allo slogan “Il tempo e le circostanze sono dalla nostra parte”, alla quale fanno da contorno un corollario di “parole d’ordine” nella stessa direzione, finalizzate ad esortare tutta la popolazione a partecipare al grande riscatto collettivo (ad esempio: “Qiangguo you wo”强国有我 Per un paese potente, io ci sono!).
Il tang ping zhu yi, che per un po’ ha spopolato tra i giovani e sul web e che liberamente tradurrei come “spiaggismo”. È una sorta di irridente ideologia controcorrente attraverso la quale i giovani manifestano la propria insofferenza verso una società che li vuole a tutti i costi proiettati al successo professionale ed economico, erodendo loro ogni margine di vita personale, sociale e affettiva, perché potrebbe distoglierli dall’obiettivo principale.
Essi rivendicano provocatoriamente il diritto di non consumare, non lavorare, non essere social, non comprarsi una casa o un’automobile, non sposarsi e non avere figli, di starsene, appunto, stravaccati/spiaggiati sul letto o sul divano. Non è un vero programma di vita, è certamente una voce intenzionalmente estrema, dietro la quale tuttavia si nasconde un disagio vero, oggi oggetto anche di studio e di riflessione. A Xi, comunque, la pensata non piace affatto e stigmatizza l’espressione – e soprattutto l’atteggiamento- durante il suo discorso alla decima conferenza della Commissione economico-finanziaria del Comitato Centrale, il 17 agosto 2021.
Si dice che Xi abbia riportato la politica al centro del discorso pubblico cinese, sei d’accordo?
In parte sì, ma in un modo che non sono sicura mi piaccia molto (capisco, peraltro, che non debba piacere a me!)
Intendo dire che mi pare la politica sia entrata nuovamente nel discorso quotidiano soprattutto in termini di “prescrizioni”. Ovvero, quando il discorso politico lascia il Palazzo e si trasferisce tra la gente, intersecandosi con la vita quotidiana, mi pare abbia assunto nuovamente una importanza normativa e prescrittiva che aveva assolutamente perduto negli ultimi decenni del secolo scorso.
Assai più di prima c’è quello che è opportuno dire e quello che NON è opportuno dire: il controllo mi pare molto più occhiuto, i margini di libertà di espressione di molto ridotti, il “conformismo” giocoforza dilagante.
Ho collaborato di recente a una bella Mostra fotografica sulla Cina degli anni Ottanta: ho ricevuto da parte cinese note di apprezzamento ma anche note critiche: tanto le une quanto le altre non venivano soltanto da cinesi residenti qui in Italia, ma anche da esponenti di spicco della società cinese che normalmente vivono in Cina.
Le note critiche mi rimproveravano di avere voluto mostrare una Cina “povera” e di non avere voluto affiancare a quelle degli anni Ottanta delle altre immagini che testimoniassero i grandi progressi compiuti dal paese in questi quarant’anni.
Preciso che molte delle foto presentate in mostra compaiono all’interno di un bel libro fotografico pubblicato in Cina da un editore cinese. I miei interlocutori si sono in parte tranquillizzati soltanto quando ho potuto esibire loro una serie di link a pagine cinesi che presentavano il libro in termini molto lusinghieri. Uno dei link rimandava alla pagina della Lega della gioventù comunista di Pechino.
Attenzione, non dobbiamo dimenticare che nel 1952 un giovanissimo Andreotti si scagliava contro la bellissima pellicola “Umberto D”, di De Sica, che raccontava le vicende tragiche di un pensionato spinto al suicidio dall’indigenza, rimproverandolo di “non fare un servizio alla patria” mostrando le miserie di un paese da poco uscito dalla guerra e che voleva rinascere. Il potere ha sempre e dovunque un debole per le immagini trionfanti e Andreotti era allora a capo dell’Ufficio Centrale per la Cinematografia, alle dirette dipendenze della presidenza del Consiglio, un vero e proprio Ufficio di Censura creato con la legge 379 del 16 maggio 1947. Colpisce comunque, però, la pervasività del discorso retorico intorno alla “grande potenza”.
Ecco, se “la politica al centro del discorso pubblico” significa questo, mi piace poco.
Come definiresti Xi Jinping, come lo racconteresti se dovessi scriverlo o spiegarlo a chi non sa niente di Cina?
Domanda difficile: le definizioni sono di necessità sintetiche. Certo, una definizione folgorante è sempre una grande tentazione, ma di solito semplifica, e non sono tempi in cui si si possa permettere di semplificare. Comunque, proviamo, un po’ scherzosamente… un uomo tra rigore, colore, vigore…e più di un errore”. “Rigore” perché la sua fortuna nasce in un momento in cui il paese era stomacato dalla corruzione dilagante e quasi esibita e il “patto di rispetto” tra la gente comune e il partito rischiava davvero di rompersi.
La lotta alla corruzione era condotta da un leader con molti quarti di nobiltà: il padre, Xi Zhongxun, antico amico d’arme di Mao Zedong, perseguitato durante la Rivoluzione culturale, aveva tutta la famiglia e il giovane Xi con sé quando fu spedito per sei anni a lavorare in una zona remota dello Shaanxi. Xi aveva familiarizzato coi contadini e questo fu certamente utile per confermare la sua affidabilità tra la gente comune. Ho chiamato in causa il colore perché, guardati con qualche distanza, possano essere forse derubricati a fenomeni di colore i tentativi di corroborare la legittimità del proprio mandato andando a ripescare nella tradizione dei classici, rivisitata ad usum Delphini, e utilizzata per corroborare l’orgoglio nazionale, dimostrando come i principi nati dalla tradizione confuciana abbiano caratteri di universalità.
Il “vigore” ha a che vedere con l’idea “muscolare” del paese che caratterizza la narrazione dominante, anche se, a onore del vero, in politica internazionale, soprattutto in relazione ai fatti più recenti, mi pare che Xi e la Cina siano assai più ragionevoli di altri, come dimostra ad esempio il fatto che si siano limitati a fare volare qualche caccia in ricognizione, di fronte all’improvvida, inutile, provocatoria e pericolosa visita di Nancy Pelosi a Taiwan in un momento in cui è difficile sostenere che non fosse il caso di abbassare i toni.
E veniamo agli errori: i tempi e le circostanze che Xi vedeva favorevoli alla definitiva crescita della Cina si sono enormemente complicati dopo l’invasione russa dell’Ucraina e questo non favorisce la crescita di nessuno, con l’esclusione, forse, degli Stati Uniti d’America. Nel contempo, sul piano interno, Xi sembra non rendersi conto di quanto il suo paese sia cambiato dagli anni in cui lui familiarizzava con i contadini dello Shaanxi.
Non è cambiato solo perché è incomparabilmente più ricco e prospero ma anche perché la società civile è cresciuta, come dimostra la reazione della popolazione di Shanghai di fronte al lockdown durissimo imposto per la politica di “zero contagi” voluta da Pechino; è cambiata come dimostrano le proteste dei risparmiatori dell’Anhui contro i responsabili delle banche rurali che li avevano buggerati, doppiamente infuriati perché le app di tracciamento che dovevano servire per il Covid erano state utilizzate per cercare di bloccarli in casa, in modo che non potessero andare a pretendere i propri risparmi. È cambiata perché, a dispetto di tutti i Firewall, la Cina è parte del mondo. Questi cambiamenti non hanno ancora modificato la struttura della società, non hanno ancora inciso sull’impianto istituzionale che consapevolmente confonde la funzione dello stato con quella del partito.
Non è detto che questo accada, non è detto che accada senza tensioni. Ma fare finta che la Cina di oggi sia un paese facilmente governabile senza una vera apertura, senza nessuna possibilità di dialettica interna, credo possa essere nel medio termine un errore fatale.
Secondo te il soft power cinese funziona poco, o ormai alla Cina interessa poco spiegarsi all'Occidente?
Questione complicata: cominciamo da noi, per una volta. Siamo comunque e sempre prevenuti nei confronti della Cina, a prescindere, e questo non aiuta. Nel contempo, abbiamo colpevolmente alimentato nei cinesi l’idea che la capacità di comunicare dipenda solo dal possesso di una adeguata potenza di fuoco, ovvero dal possesso di un adeguato numero di media: gruppi mediatici importantissimi del nostro paese, da AGI alla Rai, con troppa leggerezza hanno firmato con la Cina accordi in cui si accetta una prassi consolidata dalla parte cinese che, per promuovere la propria concezione del giornalismo e le proprie modalità di fare notizia, mira alla pubblicazione e alla diffusione di contenuti prodotti in Cina.
La cosa di per sé potrebbe anche essere accettabile se fosse reciproca e prevedesse anche la possibilità di diffondere in Cina prodotti italiani. Così non è e spesso i prodotti cinesi vengono semplicemente tradotti (non sempre con accuratezza) e riproposti. Una politica di benefit e di pur non esorbitanti vantaggi materiali è rivolta anche a giornalisti free-lance. In qualche misura, queste forme di “reclutamento” potrebbero fare parte delle regole del gioco, a patto che la consapevolezza e la forza delle parti sia equilibrata, cosa che ovviamente non è.
Alcune indagini dimostrano peraltro che questa strategia, allo stato attuale, non influirebbe sulla percezione della Cina nel nostro paese, ma, ovviamente, non è questo il punto.
Ciò detto, in effetti, le iniziative di public diplomacy cinese, la presenza degli agguerriti – e preparati- alti funzionari esponenti della cosiddetta “diplomazia dei lupi guerrieri战狼外交 (zhanlang waijiao) fanno pensare a una nuova forma di aggressività, assolutamente inedita nella tradizione diplomatica cinese. Come al solito, però, le cose sono meno semplici di come appaiano.
Mentre in Italia ci si limita a comperare una pagina del Corriere della Sera della sera per spiegare la posizione della Cina sulla visita di Nancy Pelosi a Taiwan, con toni e modalità che non aiutano ad avvicinare alla posizione cinese, in Francia, l’ambasciatore cinese Lu Shaye rilascia una intervista alla televsione di stato francese che mi è parsa un piccolo capolavoro di diplomazia, in un francese assolutamente perfetto.
Diplomatici di diversa capacità e sensibilità vengono ovviamente destinati nelle varie sedi anche in relazione al rilievo che si attribuisce ai diversi paesi.
Cosa pensi di questo momento della Cina che pare chiudersi sempre di più
Vero, ma mi verrebbe da dire, aspettiamo che passi il Congresso del PCC. Io non sono una politologa e certamente non ho tutti gli strumenti per capire che cosa stia bollendo in pentola, ma anche nella mia esperienza di studiosa della Cina ci sono alcuni elementi ricorrenti: innanzitutto, in generale, a ridosso del Congresso del Partito la Cina tende sempre un po’ a “chiudersi” (anche se in misura decisamente meno significativa di quanto non appaia ora); in secondo luogo, e questo mi pare forse un elemento più interessante, quando lo scontro all’interno del Partito di fa aspro, in genere la Cina tende a chiudersi al mondo esterno.
Che cosa accade dentro il partito non ci è dato di capire, a maggior ragione in un momento in cui andare in Cina è difficilissimo (attenzione, non è formalmente impossibile, ma le limitazioni nei movimenti e i rischi collegati all’imprevedibilità totale delle politiche anti-pandemia) sconsigliano vivamente di imbarcarsi nell’avventura. Il nervosismo, tuttavia, traspare anche qui, persino dalle parole o mezze parole dei colleghi che lavorano negli atenei cinesi.
Voci o mezze voci stanno addirittura accreditando l’ipotesi di tentativi di colpi di stato e, prima di essere rimosso, intorno al 26 settembre un hastag su Weibo faceva riferimento a un gran numero di voli cancellati in tutto il paese. Xi Jinping non compare in pubblico e questo alimenta i rumors, anche senza elementi oggettivi di fondatezza. Certo, non fanno pensare a una situazione serena il recentissimo arresto di Sun Lijun, già vice ministro per la sicurezza Sociale e di Fu Zhenghua, già ministro della Giustizia, insieme a quello di alti funzionari di Chongqing e di Shanghai, città che fieramente aveva mostrato la propria totale insofferenza rispetto alle politiche di “reclusione coatta” giustificate con la lotta alla pandemia.
Che la lotta alla corruzione che aveva determinato l’amplissimo sostegno a Xi all’inizio del suo mandato si sia trasformata in una lotta personale ai propri oppositori è oramai più di un sospetto. E in circostanze del genere, difficile pensare che la Cina si apra. Come ho detto all’inizio: attendiamo il Congresso e, in ogni caso, - e qui, come si dice, mi comporto come Cicero pro domo sua – dobbiamo sperare assolutamente nella stabilità della Cina.
I cattivi
Ora, per un attimo, mettetevi nei panni panni di Fu Zhenghua: nell’ottobre del 2013 il suo destino sembra regalargli l’occasione della vita. Xi Jinping in persona lo nomina a capo della task force che deve ingabbiare la tigre delle tigri, il Satana del momento: Zhou Yongkang, “zar della sicurezza” ex capo di tutto quanto era polizia (e pare anche petrolio) che finirà poi in carcere a vita per corruzione e svariati altri reati.
Fu Zhenghua entra nel Guiness dei primati dei funzionari della sicurezza, perché è il primo a ricoprire tre cariche contemporaneamente (un po’ come piace a Xi): capo della polizia di Pechino, membro del comitato permanente del partito di Pechino e viceministro della pubblica sicurezza.
Nelle sue mani passano altri dossier molto importanti, anche perché siamo nella prima tumultuosa fase anti corruzione di Xi . E Fu sembra comportarsi molto bene, perché nel 2018 diventa ministro della giustizia. La sua nomina provoca l’indignazione degli avvocati cinesi che si occupano, faticosamente, di dissidente e diritti umani. Reuters, poco dopo la conferma della sua nomina, traccia questo profilo di Fu:
“Considerato a lungo come una stella nascente nelle forze dell'ordine, Fu ha condotto una serie di indagini e repressioni di alto profilo, inclusa l'indagine sull'ex zar della sicurezza Zhou Yongkang. Dal 2015 ha diretto un ufficio dedicato alla soppressione di quelli che il Partito Comunista al potere chiama “sette malvagie”, compreso il Falun Gong. Fu è noto per la sua “mano pesante”, caratteristica che gli ha portato il favore dei media statali cinesi, secondo i quali le sue campagne hanno aiutato a ripulire la società”.
Una carriera lanciatissima. Ma non senza sospetti. Fu, infatti, pare che nella sua gestione delle relazioni fosse un po’ spericolato. In particolare, prima dell’arrivo di Xi, era passato dalla fazione di Jiang Zemin a quella di Hu Jintao. Una cosa che - pare, si dice - non sia mai piaciuta a Xi che non ha grande simpatia per i “volta gabbana”.
E quando si è cominciato a sussurrare di una nuova fazione all’interno del “comparto sicurezza” i sospetti di Xi sono diventati certezze: qualche giorno fa Fu è stato condannato all’ergastolo. Insieme a lui anche Sun Lijiun che era considerato il capo di questa fazione. Su Asia Sentinel trovate un buon resoconto di questo repulisti.
Link da fonti cinesi
Il pezzo con le parole di Wang Huning su Xi sul Quotidiano del Popolo
http://paper.people.com.cn/rmrb/html/2022-09/28/nw.D110000renmrb_20220928_6-01.htm
Il marketing e i pop up
http://www.workercn.cn/c/2022-09-29/7181145.shtml
Xi Jinping, Kishida e 50 anni di relazioni tra Cina e Giappone
http://news.jcrb.com/jsxw/2022/202209/t20220929_2448842.html
Link da fonti internazionali
Alessandra Colarizi ha intervistato Deng Yuwen, ex vicedirettore dello Study Times, la rivista della Scuola centrale del pPcc. Deng è stato sospeso dal suo ruolo nel 2013 e oggi insegna all’University of Nottingham, dove è visiting scholar presso l’Institute of China Policy. Ci sono alcune cose interessanti perché Deng rispetto ad altri cacciati dal Partito (abbiamo visto in qualche newsletter fa il caso di Cai Xia) non sembra particolarmente vendicativo, quindi le sue valutazioni suonano più credibili.
https://www.china-files.com/deng-yuwen-xi-jinping-e-il-peggior-pericolo-per-se-stesso/
La battaglia ambientalista a Wuhan dal 2010 al 2014, uno dei momenti più intensi del movimento anti inquinamento in Cina
https://chuangcn.org/2022/09/east-lake-for-everyone/
“Reading the china dream” ha tradotto un interessante articolo di Chen Jian su Gorbaciov
https://www.readingthechinadream.com/chen-jian-on-gorbachev.html
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Venerdì prossimo, 7 ottobre, uscirà il mio podcast asiatico per Chora Media. Sono molto contento, naturalmente, e spero vi piacerà. Dal mio punto di vista è anche una specie di “cosa ho imparato in questi mesi lavorando a Chora” e cosa ho imparato dall’ascolto di podcast che mi hanno dato idee e spunti.
Il podcast uscirà ogni settimana, al venerdì, dura più o meno 25 minuti: parleremo di quanto accade in Asia, di come evolvono i conflitti sociali, le novità tecnologiche, le tendenze culturali e le loro visioni del mondo. E lo faremo ogni volta con esperti che sanno di cosa parlano (e questa parte per me è davvero molto importante, perché costituisce la possibilità di fare ascoltare voci di persone che seguo, stimo e che non sono le “solite voci” che vi rifilano quando si parla di certi temi).
La prima puntata sarà ovviamente sulla Cina.
Lo presenterò domani, sabato 1 ottobre alle 11.45 al festival di Internazionale a Ferrara
Heavy Metal Party
Porcupine Tree <3
A venerdì prossimo. Per chi si fosse iscritto di recente, qui trovate gli archivi
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