Trump o Harris
Che si dice in Cina delle ormai vicine elezioni negli Usa, considerando che Trump ormai è conosciuto e la vera novità è Kamala Harris. Poi: Prabowo e l'Indonesia, le truppe nordcoreane e la Russia
Set-List:
Intro: Mao e Nixon
Trump o Harris
Altre storie dalla Cina
Indonesia
Corea del Nord
Benvenuti alla nuova newsletter de Il Partito, politica in Cina e Asia.
Io sono un giornalista, lavoro a Chora Media, conduco due podcast “Altri Orienti” e “Fuori da Qui”. Ho vissuto a lungo in Cina e in Asia, dove ho fondato China Files. Provo a raccontare cosa succede in questi luoghi con la newsletter, con i libri, con dei video su Youtube. E pure qui su Instagram.
Trump o Harris?
Intro: Pechino, 21 febbraio 1972. Mao Zedong incontra l’allora presidente Usa Richard Nixon nella sua abitazione all’interno di Zhongnanhai, il complesso residenziale della leadership del Partito comunista. Quello che segue è la registrazione di una parte del dialogo che avvenne
Presidente Mao: Ti ho votato alle elezioni.
Presidente Nixon: Quando il Presidente dice che ha votato per me, lo dice per dire che ha votato per il male minore.
Presidente Mao: Mi piacciono i politici di destra.
Presidente Nixon: Penso che la cosa importante da sottolineare sia che in America, almeno in questo momento, quelli di destra possono fare ciò di cui parlano quelli di sinistra.
E quindi: togliamoci sto dente delle elezioni americane e la Cina :)
Partiamo da un dato: in Cina la leadership del Partito comunista sa che né Trump né Harris porteranno a un cambio sostanziale nella relazione tra i due paesi. E quando parliamo di cosa preferisce “la Cina”, in questo numero di questa newsletter ci riferiamo a cosa preferisce, o preferirebbe, o “forse” preferisce eccetera la leadership del Partito. Dire cosa preferiscano i cinesi è impossibile, la Bbc ci ha provato con un pezzo che raccoglieva voci in un parco: c’è chi dice che preferirebbe Trump perché “non fa le guerre”, chi Harris, insomma non è né un campione abbastanza ampio per indicare una tendenza, né credo sia possibile (quasi mai) dire cosa pensano “i cinesi”.
Ovviamente per quanto riguarda il Partito, si può ragionare, spesso speculare, immaginare scenari. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che mi pare quello più rilevante sul tema: in molti commenti, sia in cinese sia in inglese, si tende a ragionare sul vincitore o la vincitrice delle presidenziali americane, provando a piazzare la prossima amministrazione Usa su una balestra temporale lunga, non immediata quanto meno.
Ricordiamo alcune cose, dal punto di vista cinese: nel 2016, la prima volta che si è candidato Trump, probabilmente la leadership del Pcc avrebbe preferito Hillary Clinton. Si diceva così: Clinton è più dura sui diritti umani, ma seguirà la politica estera di Obama in Asia (che all’epoca era il “pivot to Asia”; cioè un’operazione di contenimento e non di scontro). Oggi possiamo dire che la politica obamiana è completamente fuori dal range delle ipotesi. Allora di Trump si diceva che la Cina non si fidasse: troppo imprevedibile per i gusti dei leader cinesi.
Poi Trump ha vinto e una volta alla presidenza, ha avviato quella guerra tecnologica con la Cina che Biden non solo non ha interrotto ma ha potenziato.
Ora per Pechino lo scenario è il seguente: durante la prima presidenza, Trump ha messo i dazi, ma grazie alle sue posizioni isolazioniste anche in politica estera ha finito per lasciare ampie praterie alla Cina (ricordiamo, per fare un esempio, che nel 2019 - presidenza Trump - l’Italia firmò il memorandum of understanding per la Belt and Road Initiative (la via della Seta). Insomma era il mondo della Cina ancora da “contenere”, era il mondo pre Covid, era il mondo pre guerra in Ucraina e in Medio Oriente.
Poi è arrivato Biden. Il presidente democratico ha messo subito in chiaro le cose: quanto di buono fatto da Trump, le sanzioni, sono potenziate. E in politica estera Biden ha puntato tutto sull’Asia, salvo poi ritrovarsi incastrato nel supporto a Kiev prima e nella complicata gestione (fallimentare) di Israele dopo. Nonostante questo Biden ha bullonato per bene l’alleanza con il Giappone, l’ha allargata alla Corea, ha lavorato moltissimo sul restyling politico di Modi e sull’India come “democrazia” e quindi “amica” in funzione anti cinese. E ha tenuto il punto su Taiwan. Quindi, nonostante gli Usa siano stati impegnati su più fronti, a un certo punto hanno “mollato” un po’ nella loro politica asiatica. Hanno lavorato molto diplomaticamente ma alla fine a parte Giappone e Corea, il resto del continente è rimasto nella consueta posizione: senza prendere una posizione netta tra le due potenze e provando ad approfittare il più possibile delle tensioni tra Pechino e Washington.
Ora abbiamo Trump, che i cinesi ormai conoscono un po’ di più e Kamala Harris che è la vera novità, perché è poco conosciuta dalla leadership cinese. Subito dopo la sua nomina, e il ritiro di Biden, i media cinesi si erano chiesti se le origini di Harris (ha madre indiana e padre giamaicano) avrebbero portato a una politica estera con l’Asia diversa da quella di Biden. Poi, mentre negli Usa è salita la tensione tra i due candidati, la Cina è sembrata tornare a concentrarsi più sulla propria politica interna.
Ora un articolo che mi pare spieghi molto bene i ragionamenti in corso a Pechino è comparso su Foreign Affairs quest’estate. Il titolo: La Cina preferisce Harris o Trump?. Gli autori, tre cinesi: Wang Jisi, presidente fondatore dell'Istituto di studi internazionali e strategici dell'Università di Pechino (e già molto vicino all’ex presidente cinese Hu Jintao); Hu Ran, ricercatore associato presso l'Istituto di studi internazionali e strategici dell'Università di Pechino, Zhao Jianwei, ricercatore associato presso l'Istituto di studi internazionali e strategici dell'Università di Pechino.
Vediamo alcune parti dell’articolo, considerando che all’inizio viene specificato che “Per gli osservatori cinesi, anziché offrire approcci alternativi al loro paese e al mondo, i due principali partiti statunitensi riflettono entrambi un approccio generale alla Cina emerso negli ultimi anni, fortemente influenzato dalle preoccupazioni politiche interne degli Stati Uniti”.
Poi, la cosa più rilevante del pezzo è la descrizione di come i cinesi vedono gli strateghi statunitensi:
Osservati da lontano, gli strateghi statunitensi sulla Cina possono essere ampiamente divisi in tre scuole. La prima potrebbe essere chiamata quella dei Nuovi Combattenti della Guerra Fredda. Le persone in questo gruppo credono che la rivalità tra Stati Uniti e Cina sia un gioco a somma zero e che Washington e Pechino siano impegnate in una guerra fredda che richiede tattiche ancora più aggressive da parte degli Stati Uniti. (…)
La seconda è quella dei Competition Managers. Coloro che appartengono a questo campo sostengono l'idea che la rivalità tra Stati Uniti e Cina non sia un gioco a somma zero e, di conseguenza, che sia essenziale avere una strategia per coesistere con la Cina. Le origini intellettuali di questo approccio possono essere ricondotte a un articolo che Kurt Campbell e Jake Sullivan hanno scritto per Foreign Affairs nel 2019, prima di entrare entrambi nell'amministrazione Biden. Come hanno sostenuto, la competizione con la Cina è "una condizione da gestire piuttosto che un problema da risolvere". (…) La terza potrebbe essere definita quella degli Accomodanti. Sebbene condividano l'avversione delle altre scuole per il sistema politico cinese e la sua influenza globale, tendono a essere più preoccupati delle loro controparti che la competizione possa trasformarsi in scontro.
Tutto questo fermo restando che “Nonostante questa diversità di opinioni, tutte e tre le scuole concordano sul fatto che la Cina rappresenti una sfida significativa per gli Stati Uniti”.
Di Trump che pensano questi tre analisti cinesi? Credono che nel complesso, “l'amministrazione Trump abbia mantenuto un certo grado di flessibilità nei confronti della Cina. Nonostante i dazi punitivi e altre misure, è rimasta aperta ai colloqui commerciali e ha dimostrato una certa disponibilità a scendere a compromessi su questioni spinose come la concorrenza tecnologica e Taiwan. Inoltre, "America first" ha anche significato che Washington aveva meno credibilità e influenza nel coordinamento con altri paesi sulle proprie politiche nei confronti della Cina, con il risultato che l'amministrazione Trump non ha costruito e guidato un forte fronte multilaterale per contrastare la Cina. Ciò ha incoraggiato una percezione popolare tra alcuni commentatori cinesi secondo cui Trump era principalmente interessato ai vantaggi commerciali e a concludere un accordo con la Cina”. Un'amministrazione Harris, invece, supponendo che mantenga gran parte dell'approccio di Biden, “intensificherebbe probabilmente la competizione strategica con Pechino e consoliderebbe gli sforzi di Biden per costruire una coalizione di paesi occidentali e asiatici per controbilanciare la Cina”.
E “Rispetto alla politica arbitraria e volubile di Trump, queste strategie rimarrebbero probabilmente più organizzate e prevedibili. Tuttavia, nel complesso, da una prospettiva cinese, le politiche cinesi di una nuova amministrazione Trump e di un'amministrazione Harris saranno probabilmente coerenti a livello strategico”.
Insomma, sul lungo periodo probabilmente per la Cina non cambierà niente. Ma forse qualche spiraglio migliore ci sarebbe con Trump.
Ora, veniamo ai media cinesi. In un commento on line (link in cinese) ci si è concentrati sui due candidati alla vice presidenza: “Sebbene sia Vance che Walz abbiano espresso critiche nei confronti della Cina sulle questioni relative ai diritti umani, i loro approcci sono stati completamente diversi. Vance sostiene l’adozione di misure severe e spera di costringere la Cina a migliorare la propria situazione dei diritti umani attraverso sanzioni e pressioni diplomatiche. Waltz, invece, preferisce promuovere i progressi della Cina sulle questioni relative ai diritti umani attraverso il dialogo e gli scambi”.
Sul Southern People’s Weekly ci si chiede (link in cinese) chi sia Harris, la vera novità di queste elezioni, si è parlato anche dell’endorsment massiccio di Musk a Trump, delle condizioni economiche degli Usa.
Infine vi segnalo un’analisi di un professore cinese sulle “due Americhe” che si scontrano tra di loro a queste elezioni: qui il link in cinese, il pezzo è uscito il 16 ottobre 2024. Aggiungo un pezzo di Hanyoreh, quotidiano di centro sinistra sud coreano, dal titolo Who is Xi Jinping rooting for: Trump or Harris? è interessante vedere come in Asia leggano questo momento in virtù della relazione tra Usa e Cina: qui il link in inglese.
Altre Storie dalla Cina:
Si continua a parlare degli stimoli economici. E a chiedersi che ne sarà del mercato interno e dei consumi. Link in cinese
Gli ultimi dati sulla crescita cinese (al 4,6%). Link in inglese
Joint statement tra Cina e Pakistan, nonostante le tante difficoltà del momento. Qui un articolo del Global Times (costola in inglese dell’ufficiale Quotidiano del popolo). Qui l’Economist sulla visita del premier cinese in Pakistan.
Indonesia, ecco Prabowo
Prabowo da oggi è il nuovo presidente dell’Indonesia. Ieri ha delineato una visione che chiama Asta Cita, che in sanscrito significa "otto obiettivi". “Prabowo ha ideato alcune delle iniziative, come il programma di pasti gratuiti, altre, come la raffinazione dei minerali a livello nazionale. Mentre altri, come lo sviluppo di una nuova capitale, sono l'eredità del presidente uscente Joko "Jokowi" Widodo. Qui l’articolo su Nikkei Asia
E sull’Indonesia e sulle Filippine c’è l’ultima puntata di Altri Orienti.
Le truppe della Corea del Nord
Sarebbero a combattere accanto ai russi in Ucraina, secondo Seul.
Alcuni articoli sul tema: il South China Morning Post, Nikkei Asia, Guardian.
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