Erede
Presumibilmente Xi Jinping non indicherà alcun erede per la sua successione. Ma alcune sue mosse, promozioni e scelte, potrebbero indicare almeno il "profilo" di chi potrebbe succedergli, prima o poi.
L’intervista a Renata Pisu
Quando ho avuto la fortuna di “passare” alcuni suoi pezzi per il manifesto, o quando ci sentiamo, Renata Pisu riesce sempre a mostrarmi nuove angolature da cui osservare quanto succede in Cina. Non si tratta solo di capire qualcosa che ha a che fare con la Cina: si tratta proprio di prospettive, di osservazione, di profondità dello sguardo.
Nelle scorse settimane ci siamo sentiti “per chiacchierare un po’ di Cina”. Poi le ho mandato alcune domande ed ecco le sue risposte. Renata Pisu ha scritto di Cina (e Asia) in molti articoli e libri. In fondo all’intervista trovate alcuni dei suoi titoli; se non l’avete mai fatto leggeteli. Chiunque si approcci alla Cina non può non leggere Renata Pisu.
Che idea ti sei fatta di questa Cina che pare chiudersi sempre di più?
La Cina che ho conosciuto negli anni Cinquanta e primi Sessanta era chiusa non per sua volontà, non era riconosciuta che da pochi paesi, all’Onu sedeva la Cina di Chiang Kaishek. C’è stata poi la grande apertura di Deng e nella Cina che ho conosciuto a quell’epoca, anni Ottanta e Novanta e primi Duemila, si respirava aria nuova, anche a Taiwan dove addirittura si tenevano elezioni democratiche a suffragio universale…Nella Cina vera e propria no, anche se il Partito fluttuava, pareva volersi adattare a non sapeva neanche bene cosa, comunque ci sono stati adattamenti a volte assai maldestri, ma le finestre restavano aperte anche se si teneva presente il rischio che entrassero insetti nocivi, come aveva detto Deng: mosche, zanzare, tafani. Virus? No, quelli, lo si è capito con la Sars, si potevano produrre in casa. E di nuovo la Cina si ritrovò chiusa, ancora non per sua volontà, ma a causa di un suo virus.
Fu un isolamento quasi totale, vi fu una recessione del galoppo dell’economia che però poco dopo si riprese e pare che qualcuno ne abbia tratto vantaggio, Jack Ma con Alibaba, per esempio, perché prese piede la sua idea del commercio on-line in quel periodo in cui la gente aveva paura di entrare nei negozi e allora si comprava sempre di più on-line, era più sicuro, si evitavano gli affollamenti.
Poi la Sars passò, la Cina continuò ad essere aperta fino a quando non è arrivato quest’altro virus a imporre totali chiusure a tutti e per tutti. Vien da pensare che il Covid sia stato visto come l’occasione che il Potere si aspettava, pur senza augurarselo, per mettere un po’ d’ordine in casa e magari anche fuori casa, sotto il cielo insomma, chiudendo le porte come non era mai successo prima, ermeticamente.
Ma devo dire che una certa voglia di chiusura già la si percepiva nel 2018, data della mia ultima ricognizione sul campo degli umori dei cinesi, non buoni umori, anche se dal punto di vista economico per lo meno nelle grandi città non ci si poteva lamentare. Ma si avvertivano presagi di chiusura nel modo in cui i cinesi si rapportavano ai visitatori stranieri, per esempio, considerandoli – sono impressioni personali- un po’ arretrati, per lo meno dal punto di vista tecnologico, ancora affezionati alla moneta di carta, a voler pagare in contanti con quei bigliettoni rosa con la faccia di Mao; e si capiva che erano poco disposti ad ascoltare altre esperienze, storie dal mondo, espresse in lingue aliene. “Ma perché non parlano tutti cinese?” sembrava il sottinteso.
Come mai oggi si parla molto più del Congresso e del Partito di un tempo in Cina e come è cambiata la percezione della politica in Cina.
Non so se si parla molto di più oggi del Congresso e del Partito in Cina. So soltanto che una volta se ne parlava assai poco, si è sempre parlato poco di politica in Cina .
Mi torna in mente “La bottega del tè,” una commedia di Lao She, lo scrittore pechinese morto suicida perché vittima delle persecuzioni delle Guardie Rosse. In questa tipica bottega del tè, nella Cina pre-comunista, è appeso un cartello a grandi caratteri che intima “Proibito parlare di Politica”.
Nella Pechino di Mao dove ho vissuto e studiato, si diceva che ora invece si poteva parlare di politica, non si faceva altro che parlarne a suon di slogan, di “Evviva il Grande Partito”, “il Partito è la mamma” e via di seguito. Non so se è cambiata la percezione della politica in Cina, so soltanto che quelli che comandavano erano chiamati “ta men”, cioè “Loro”, e poi c’erano gli altri, quelli che erano comandati. Non ho esperienze recenti di discorsi politici fatti in Cina con amici cinesi, non so se usano ancora chiamare i governanti “ta men” ma di certo non vedono più il partito come una mamma, specie se ha la faccia di Xi Jinping che almeno dal punto di vista fisiognomico non è certo il Nuovo Mao, come hanno detto tanti da noi.
Ricordo di aver parlato tanto di politica in Cina con gli amici cinesi nei primi anni Ottanta e poi Novanta, ma non di politica estera, ai cinesi proprio non interessava, ma di quello che era capitato da loro e di cosa mai li aspettasse in futuro. Non avevano previsioni tanto rosee ma erano disposti a scommetterci tutto, anche la pelle. A molti è successo davvero di perderla, la scommessa e la pelle.
Secondo te il soft power cinese funziona poco, o ormai alla Cina interessa poco spiegarsi all'Occidente?
Certo, è in calo, ma io mi domando soltanto perché il soft power della Corea del Sud è maggiore di quello della Cina. E non lo diffonde con la sua cultura- che è millenaria- ma con una serie tv tipo Squid Game, tanto per dirne una.
Ecco, per la Cina e il suo soft-power ci vorrebbe qualcosa del genere, il che è impossibile finché la Cina continuerà a mettere al bando la sua cultura hip-hop, penso alla band degli Higher Brothers, o figure di rilievo internazionale come Ai Weiwei. Non basta parlare di “China Dream” senza definirlo meglio, non basta investire miliardi dollari per rendere “attraente” il modello cinese, finanziando Istituti Confucio nel mondo.
Se si è registrato negli ultimi anni un calo del soft-power cinese nelle sue modalità governative di diffusione, lo si deve anche al suo modo di trattare il Covid in patria, puntando sull’elargizione all’estero di mascherine. Le mascherine non bastano. Si vorrebbe conoscere come la gente ha vissuto il lock down, magari facendo della narrazione di una Fang Fang che invece in patria è stata censurata, una bella serie televisiva.
Ma purtroppo il soft-power cinese è soltanto quello che promana dai vertici e così non si fa niente di soft ma sempre qualcosa di hard, nonostante le buone dichiarate intenzioni. È soft, ad esempio, far convivere nella stessa casa cinesi han e uiguri, per far capire a questi ultimi quanto è bella la chinese way of life? O non è piuttosto un tentativo maldestro di nascondere l’aspetto hard della repressione del Xinjiang puntando sull’elargizione all’estero di mascherine. Le mascherine non bastano.
Quando si parla di nazionalismo in Cina a cosa ci si riferisce secondo te?
Una domanda che spesso viene posta da un cinese a un non cinese, sia francese, polacco, tedesco, inglese o che dir si voglia, visto che per il cinese sono tutti uguali in quanto “stranieri”, cioè wai, esterni, è: “Sei orgoglioso di essere…” e segue il nome del paese in questione. A me personalmente è stata posta decine di volte e sempre mi sono sentita in imbarazzo nel rispondere perché a noi “stranieri”, per lo meno a quelli di generazioni post Seconda Guerra Mondiale, non piace rispondere di sì, viene interpretato come una dichiarazione di spirito nazionalista, e i nazionalismi da noi hanno combinato guai.
Ho quasi sempre risposto “Orgogliosa di che? Di appartenere al genere umano? Certo che sì”. Non è mai piaciuta questa risposta perché i miei interlocutori volevano verificare la universalità della loro convinta e sempre ripetuta affermazione “Sono orgoglioso di essere cinese”.
È un’affermazione nazionalista? Certo che lo è, però bisogna intendersi sul valore che hanno certi termini, inserirli nel loro contesto storico. Quando si è fatta questa operazione mentale, si può forse ragionare e capire quanto, per i cinesi, essere nazionalisti non sia poi così male, evitando ben inteso gli estremismi. Per la Cina nazionalismo è un concetto nuovo, imposto dalla necessità di fare di quello che era un mondo, il tianxia se vogliamo, una nazione al pari di tutte le altre, una riduzione insomma della propria immagine. Una catastrofe? Per loro lo è stata , sono stati “calpesti e derisi” e poi si sono riscattati. Per noi forse lo sarebbe se, a riscatto avvenuto e consolidato, volessero tornare ad essere il tianxia, del quale pure noi faremmo parte senza le nostre nazioni con i loro nazionalismi, i loro orgogli. Ma il fatto è che oggi la Cina è al culmine del suo sentimento di orgoglio nazionale, con tutte le sue deleterie implicazioni ed esternazioni, e noi abbiamo ben poco da contrapporre, voglio dire come offerta e visione di futuro
Come definiresti Xi Jinping, come lo racconteresti se dovessi scriverlo o spiegarlo a chi non sa niente di Cina?
Se dovessi rivolgermi a chi non sa niente di Cina , definire Xi Jinping sarebbe molto facile, direi che è il nuovo Imperatore del Celeste Impero. Non è così ma in un certo senso potrebbe anche esserlo perché rinnegare la continuità della Cina è stata una nostra colpa, della sinologia “impegnata” che nell’entusiasmo del grande sconvolgimento della rivoluzione di Mao, ha ricostruito per la Cina, tutta una storia di ribellioni, una continua lotta di classe, un succedersi di rivoluzioni mancate fino al trionfo della lotta finale.
No, certo, non abbiamo mai dato credito alla teoria della “immobilità” della Cina e abbiamo fatto bene: ma abbiamo anche creduto, confortati dalle dichiarazioni degli ideologi e politici cinesi, che fossero state abbandonate millenarie tradizioni , antiche credenze, modi e riti sostanziali all’impalcatura di una civiltà.
E adesso, invece, sono proprio i più autorevoli e accreditati accademici cinesi che si rivolgono al passato e alla loro storia, usano una terminologia che noi pensavamo politicamente scorretta- Per esempio un politologo come Zheng Yongnian sostiene che un segreto del Partito comunista cinese è di aderire all’antica saggezza della Cina che consiste nell’imparare dalla storia. Ma va bene, magistra vitae, però c’è di più. Sostiene infatti che mentre i partiti politici sono una creazione dell’Occidente, il Partito comunista cinese è una creazione originale della Cina, è un Organizational Emperor (sic in inglese, non so come l’abbia reso in cinese). Comunque potrei dire a chi non sa niente di Cina che Xi Jinpig è il nuovo Imperatore Organizzativo? Potrei. E infine per concludere vorrei citare Papa Giovanni Paolo II che nel 2001 ha detto: “La Cina e la Chiesa cattolica, sotto aspetti certamente diversi ma non contrapposti, sono storicamente due tra le più antiche istituzioni viventi e operanti nel mondo”. Così potrei definire Xi Jinping, attualmente a capo del soglio del Partito comunista cinese, come Papa Xi .
Ecco alcuni libri di Renata Pisu:
Oriente Express. Storia dall'Asia, Milano, Sperling & Kupfer, 2002
Mille anni a Pechino. Storia e storie di una capitale, Milano, Sperling & Kupfer, 2008
Né Dio né legge. La Cina e il caos armonioso, Roma-Bari, Laterza, 2013
Link della settimana da fonti cinesi
Intelligenza artificiale ed esercito
http://news.sohu.com/a/579970767_358040
Le cinque battaglie cognitive
http://81.cn/ll/2022-08/23/content_10179953.htm
Normalizzazione delle relazioni con il Giappone e questione di Taiwan
https://www.aisixiang.com/data/136658.html
Tutti i danni degli Usa (un filone piuttosto prolifico sul Quotidiano del Popolo)
http://paper.people.com.cn/rmrb/html/2022-09/20/nw.D110000renmrb_20220920_2-17.htm
L’erede
Nell’intervista della scorsa settimana Filippo Fasulo ha detto che “Sarei sorpreso di vedere un erede. Designarne uno adesso vorrebbe dire indicare un tempo limite per Xi e indebolirne la figura”.
Mi ha convinto :-) anche perché quando ormai mancano una ventina di giorni se ci fosse un nome “caldo” sarebbe già uscito. E allora bisogna concentrarsi sui potenziali successori benché sia improbabile che qualcuno di loro venga investito ufficialmente del titolo.
Un po’ tutti gli analisti suggeriscono di concentrarsi sulla cosiddetta “generazione fortunata”, come è stata definita (ne parla un articolo apparso su Sohu, in cinese), cioè i nati tra il 1962 e il 1972.
Perché fortunati? Perché, ha riassunto Bloomberg, “Hanno scansato sia l'era di Mao Zedong, che ha scatenato il caos nell'economia e nell’istruzione, sia gli alti livelli di disoccupazione e le crisi abitative che devono affrontare i laureati di oggi”.
Di questo gruppo di persone, Bloomberg ne identifica 5 da tenere d’occhio (e alcuni hanno evidenti vicinanze al number one):
Zhuge Yujie, 51 anni
“A marzo, Zhuge è diventato il più giovane vice segretario del partito del paese, è il braccio destro del capo del partito di Shanghai Li Qiang, un collaboratore di Xi di lunga data. Il centro finanziario è stato tradizionalmente un trampolino di lancio per alte cariche. Xi è un ex segretario del partito di Shanghai. Zhuge ha lavorato in imprese statali prima di entrare in politica, un percorso di carriera comune tra i nati negli anni '70”.
Liu Hongjian, 49 anni
“Liu è diventato il membro più giovane di un comitato permanente del partito provinciale quando è stato promosso a guidare un'unità di affari legali del governo nel 2021. In precedenza, ha lavorato nel Fujian per quasi due decenni, sovrapponendosi a Xi che è stato inviato lì dal 1985 al 2002”.
Liu Qiang, 51 anni
“Prima di diventare vice governatore della provincia di Shandong, Liu ha lavorato 25 anni nel settore finanziario come capo della filiale di Shanghai della Agricultural Bank of China Ltd. e vicepresidente della Bank of China Ltd. A marzo è diventato capo del partito di Jinan, capoluogo della provincia dello Shandong che si trova a metà strada tra Pechino e Shanghai”.
Shi Guanghui, 52 anni
“Shi ha circa 30 anni di esperienza di lavoro a Shanghai di cui è stato anche vice sindaco. All'inizio di quest'anno è stato promosso vice segretario del partito del Guizhou, diventando il secondo leader degli anni '70 a ricoprire quel ruolo di livello dopo Zhuge”.
Guo Ningning, 52 anni
“Una delle poche leader donne nate negli anni '70, Guo ha lavorato per la Bank of China a Hong Kong e Singapore ed è stata vicepresidente presso la Agricultural Bank of China, prima di entrare in politica. Ora è vice governatrice del Fujian, ed è anche esperta di media”.
Un capitolo a parte meritano i tecnocrati.02 che stanno prendendo piede. Ad esempio Chen Xi se non fosse troppo vecchio (ha l’età di Xi) sarebbe il mio favorito. Ma non essendo Xi, potrebbe andare in pensione. (Molti di questi tecnocrati 2.0 sono stati promossi proprio da Xi, ce ne occuperemo venerdì prossimo)
Un po’ di link sul Congresso in arrivo e su tutte le possibili mosse riguardo il pensiero, o teoria, di Xi. E cambiamenti nella Costituzione.
L’Economist sui potenziali cambi nella Cotituzione
https://www.economist.com/china/2022/09/22/how-xi-jinping-might-change-the-communist-partys-constitution
E qui la Reuters
https://www.reuters.com/world/china/chinas-communist-party-amend-its-constitution-october-congress-2022-09-09/
E il South China Morning Post
https://www.scmp.com/news/china/politics/article/3192027/chinas-communist-party-set-amend-constitution-october-national
The Jamestown Foundation sul Congresso
https://jamestown.org/program/editors-introduction-special-issue-on-the-20th-party-congress-the-xi-era-enters-its-second-decade/
Link della settimana da fonti internazionali
L’ucronia cinese. Cosa sarebbe successo se la Cina a un certo punto fosse cambiata? La Cina poteva avere un’altra storia? Su Foreign Affairs Andrew J. Nathan (professore alla Columbia University) ha scritto un articolo provando a immaginare come sarebbe potuto cambiare il corso cinese, a partire dal libro di prossima pubblicazione di Julian Gewirtz Never Turn Back, China and the Forbidden History of the 1980s
Ci sono molte cose interessanti. Scrive Nathan: “Secondo Gewirtz, era possibile un percorso di sviluppo più liberale e Pechino avrebbe potuto perseguirlo se non fosse stato per le stranezze della storia. “È possibile immaginare una Cina, anche governata dal PCC, che riabilita Zhao Ziyang, elogia il dibattito e la contestazione delle idee che hanno caratterizzato gli anni '80 e si scusa pubblicamente anche per le violenze del giugno 1989”, scrive Gewirtz”.
Ma Nathan ritiene che non si sia trattato di una stranezza della storia ed esami le ragioni che - secondo lui - hanno portato la Cina a prendere una strada ben definita e che in qualche modo ha portato all’attuale situazione.
L’articolo lo trovate qui: https://www.foreignaffairs.com/reviews/alternate-history-china-beijing-different-path
L’ex ministro della giustizia cinese si è beccato un ergastolo
https://www.scmp.com/news/china/politics/article/3193415/former-chinese-justice-minister-fu-zhenghua-jailed-life
Biden l’ha detto di nuovo. E Lorenzo Lamperti mette in fila tutto, sul manifesto
https://ilmanifesto.it/biden-difenderemo-taiwan-solo-da-un-attacco-senza-precedenti
Tra tanti epurati e scomparsi, c’è chi ricompare
Per sapere di chi stiamo parlando c’è questo pezzo del Guardian:
China’s Lipstick King reappears, months after Tiananmen ‘tank cake’ row
Heavy Metal Party
(Il 28.9 ormai è vicino)
A venerdì prossimo
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