Cosa farà la Cina?
Due analisi sul momento che sta vivendo la Cina tra opportunità e rischi, "elefanti nella stanza", diversità da altri momenti storici e la "cassetta degli attrezzi" di cui dispone Pechino
Buongiorno da Pechino, sono state giornate assurde alla rincorsa dei numeri sparati dalla Casa Bianca. Mentre vi scrivo siamo a questo: dazi contro la Cina al 145%, una situazione incredibile. La Cina dal canto suo, nel tempo, cioè fin dall’inizio di questo balletto voluto da Trump, ha risposto colpo su colpo, unico paese al mondo a farlo (poi è seguita l’Ue).
Riepilogo un attimo cosa ha deciso fino ad oggi Pechino, perché la risposta è stata varia e per certi versi sofisticata, lasciando intendere anche mosse successive e possibili forzature: dazi all’84%, restrizioni all’export di 12 prodotti legati alle terre rare, 17 aziende aggiunte alla lista di aziende inaffidabili a cui è vietata dunque esportazione e investimenti (alcune producono droni), 28 aziende americane a cui le aziende cinesi non possono vendere prodotti dual use. Poi divieto di esportazione totale per 6 aziende Usa che vendono soia, sorgo, pollame. Poi sono partite alcune indagini contro DuPont, prima ancora contro Google (ma si punta ad Android) e poi sono state aperte denunce all’organizzazione mondiale del commercio contro i dazi di trump che sarebbero illegali.
Su quest’ultimo aspetto la Cina ha cercato la sponda dell’Unione europea con cui ultimamente si sono intensificati i rapporti: c’è stata una telefonata tra il premier Li Qiang e Von der Leyen, poi altri contatti intra ministeriali, in questo momento Sanchez, il premier spagnolo, sta per iniziare la sua visita in Cina e il South China Morning Post stamattina ha pubblicato un articolo su un possibile incontro tra Ue e Cina a luglio.
Rilevante anche l’ufficialità del viaggio di Xi Jinping dal 14 al 18 aprile in Vietnam, Malaysia e Cambogia. Lo ha annunciato il governo cinese stamattina. Come vedrete tra poco, è un viaggio importante considerando la rilevanza di quell’area per la Cina e anche alla luce dei dazi, seppur sospesi per 90 giorni, nei confronti di quei paesi.
A questo proposito stamattina è uscita la puntata di Altri Orienti, potete ascoltarla qui:
Tornando ai dazi, la leadership cinese sembra essere pronta ad affrontare questo momento, anche se come già detto altre volte, ha lasciato intendere che a certe condizioni si può sempre ricominciare a parlare. Ma insomma il clima qui in Cina è bello frizzante, con la portavoce del ministero degli esteri che da giorni posta su X video o frasi del Grande Timoniere, tipo questa:
Preciso un punto su questo: non è che tutti i cinesi stanno girando per le strade di Pechino con le foto di Mao o le bandiere di Mao e sono pronti a invadere Taiwan urlando l’inno nazionale :)
Capisco sia una precisazione ovvia, ma dato che in questi giorni mi arrivano molte richieste di interviste, domande eccetera, vorrei precisarlo. A Pechino il clima è sempre lo stesso, qualcuno ironizza, qualcuno si chiede cosa cambierà, se cambierà qualcosa nella vita quotidiana, ma purtroppo non vi posso dire cosa pensano “i cinesi” a meno che io non abbia la presunzione di dire cosa pensa un miliardo e passa di persone. Quello che posso fare è contribuire a offrire spunti critici, cercare di collegare quanto accade in Cina con il resto del mondo, fornire qualche chiave di lettura, non risposte secche o essere un oracolo o dirvi cosa dicono “i cinesi”.
In ogni caso, tornando ai dazi, ieri è uscito un comunicato della China Film Administration a proposito di un potenziale blocco dei film americani in Cina (sul tema c’è anche un pezzo del Wsj), mentre si continua a parlare di una possibile interruzione della collaborazione con gli Usa per la questione del fentanyl (ma al momento non c’è alcuna ufficialità).
Oggi quindi vi propongo la traduzione di due post che sono girati su WeChat che provano a spiegare qual è al momento la posizione della Cina e mi sembrano molto centrati, sensati e non esenti dal mettere in evidenza alcune problematiche rispetto alla volontà cinese di tenere duro nel confronto con gli Stati Uniti. (Per questi due post che vi presento ringrazio ).
Le esportazioni dirette verso gli Stati Uniti rappresentano il 15% delle esportazioni totali. Gli Stati Uniti non sono più il primo mercato di esportazione della Cina, il primo mercato è l'ASEAN
Questa è una delle frasi presenti in un post su WeChat pubblicato di recente da Xu Dingbo professore al China Europe International Business School (CEIBS). Secondo Xu per analizzare il conflitto commerciale sino-americano in atto bisogna porsi alcune domande (ma guarda un po’!):
La prima è questa: le concessioni proattive della Cina possono ottenere un comportamento più benevolo da parte degli Stati Uniti?
La mia risposta è negativa. L'opinione pubblica dominante negli Stati Uniti è che, negli ultimi 40 anni di globalizzazione, la Cina abbia ottenuto enormi benefici, mentre gli Stati Uniti ne abbiano subito le conseguenze negative. Questo è uno dei pochi punti di consenso tra il Partito Democratico e il Partito Repubblicano negli Stati Uniti, e trova una forte risonanza anche nel mondo accademico americano. A giudicare semplicemente dai dati, queste opinioni sembrano avere molto senso: dal 2007 al 2024, il PIL reale pro capite cinese è aumentato del 196%, mentre quello degli Stati Uniti è aumentato solo del 25%. (…) Il conflitto commerciale sino-americano e il più ampio conflitto geopolitico sono una fase inevitabile, e l'attuale politica di "tenere un basso profilo" e le concessioni proattive non avranno un grande effetto. Naturalmente, non suggerisco nemmeno di cercare attivamente il conflitto senza motivo.
Seconda domanda: la strategia delle grandi potenze e dei paesi piccoli e medi (compresi alcuni grandi paesi in una posizione relativamente svantaggiata) deve essere diversa nei conflitti economici, commerciali e di altro tipo?
La mia risposta è affermativa. In questo conflitto commerciale, alcuni paesi come il Vietnam, il Sud America e alcuni paesi europei possono solo mostrare debolezza agli Stati Uniti, sperando di ottenere la benevolenza americana, di fatto mettendosi in una posizione di essere alla mercé degli altri. Ma una parte che si trova in una posizione simile, o addirittura più forte, rispetto alla parte in conflitto, dovrebbe considerare di utilizzare le proprie minacce pubbliche e contromisure per costringere l'altra parte a cambiare il proprio comportamento e ad adottare un approccio cooperativo, raggiungendo infine il miglior risultato per entrambe le parti in conflitto.
Terza domanda ancora più importante: la Cina si trova attualmente in una posizione di parità con gli Stati Uniti, o addirittura in una posizione di vantaggio in alcuni aspetti?
La mia risposta è affermativa. L'influenza degli Stati Uniti sull'economia globale è molto inferiore a quanto molti di noi immaginano. La quota delle esportazioni statunitensi sul totale mondiale è scesa dal 15,51% nel 1970 al 9,8% nel 2023, mentre la quota della Cina è aumentata dallo 0,59% all'11,28% nello stesso periodo, e la Cina è il primo partner commerciale della stragrande maggioranza dei paesi del mondo. Le importazioni dalla Cina dagli Stati Uniti rappresentano solo il 6% delle importazioni totali della Cina, e le esportazioni dirette verso gli Stati Uniti rappresentano il 15% delle esportazioni totali. Gli Stati Uniti non sono più il primo mercato di esportazione della Cina, il primo mercato è l'ASEAN, e gli Stati Uniti hanno un certo grado di dipendenza dai prodotti cinesi, e non è possibile un completo disaccoppiamento. Ancora più importante è il cambiamento dei dati del PIL calcolato in base alla parità di potere d'acquisto, che riflette la reale forza nazionale: la quota degli Stati Uniti sul totale mondiale è scesa dal 21,58% nel 1980 al 15,05% nel 2023, mentre la quota della Cina è aumentata dal 2,05% al 18,75% nello stesso periodo. Una carta in mano agli Stati Uniti è il loro enorme mercato dei consumi. Dal 1970 al 2023, la quota delle importazioni statunitensi sul totale mondiale è scesa dal 14,49% al 12,73%, mentre la quota della Cina è aumentata dallo 0,57% al 10,34%, e gli Stati Uniti rimangono il più grande importatore mondiale. Tuttavia, con la ripresa dell'economia cinese e l'aumento dei consumi derivante dagli aggiustamenti della struttura economica, questa situazione cambierà presto.
Insomma per Xu, questa guerra commerciale danneggia gli Stati Uniti più di quanto danneggi i partner commerciali degli Stati Uniti.
Poi Xu riprende una questione che ho visto in diversi post in quest’ultimo periodo. Alcuni amici, scrive Xu, hanno anche sollevato una domanda: negli anni '80, quando gli Stati Uniti e il Giappone ebbero un conflitto commerciale, perché il Giappone adottò una politica di concessioni? In realtà, per Xu, “l'attuale economia cinese ha una differenza fondamentale rispetto all'economia giapponese del 1985, e non dovremmo semplicemente trarre lezioni dal conflitto commerciale tra Stati Uniti e Giappone”.
La differenza fondamentale è che l'economia giapponese di allora non aveva la profondità e l'ampiezza dell'attuale economia cinese. Questa profondità si riflette sia nella variazione graduale dell'economia interna cinese dalle zone economiche sviluppate costiere alle zone economiche centrali, nordoccidentali e nordorientali, sia nel sistema di cooperazione economica internazionale che abbiamo costruito negli ultimi dieci anni attraverso la Belt and Road Initiative. La profondità dell'economia cinese e il più grande e completo sistema manifatturiero del mondo fanno sì che il nostro grado di dipendenza dall'economia statunitense sia molto inferiore al grado di dipendenza del Giappone dagli Stati Uniti nel 1985. Rispetto alla Cina, un altro punto debole fatale del Giappone è la sua dipendenza politica e militare dagli Stati Uniti.
Una lezione che dovremmo trarre dal conflitto commerciale tra Stati Uniti e Giappone è: qual è stato il risultato delle concessioni del Giappone? A partire dal 1990, il Giappone ha subito 30 anni di recessione, e questo è ovviamente qualcosa che dovremmo evitare.
Il professore poi conclude con tre riflessioni. Intanto contrariamente a quanto pensano molti (e mi ci metto anche io in questo gruppo) “questa guerra commerciale lanciata da Trump non è principalmente per motivi ideologici, ma per interessi commerciali. Trump è un uomo d'affari, e la sua attuale pressione massima è principalmente per ottenere compromessi e concessioni dalle varie parti in seguito”.
Poi specifica che “il governo cinese introdurrà una serie di politiche di stimolo della domanda interna più "significative", e costruirà con maggiore forza un sistema commerciale globale che non sia dominato dagli Stati Uniti. A differenza di qualche anno fa, ora sempre più paesi sono disposti a stare dalla parte della Cina”.
Terzo, “la storia degli ultimi anni ha anche dimostrato che le guerre commerciali non possono impedire lo sviluppo economico e il progresso tecnologico della Cina, e la stazione spaziale cinese, i satelliti Beidou, i treni ad alta velocità e l'intelligenza artificiale DeepSeek ne sono buoni esempi. Nell'ultimo anno, ho parlato in molte occasioni del fatto che "la globalizzazione è la strada giusta per l'umanità". Sia dai principi economici che dall'esperienza storica, credo che questa affermazione sia corretta. Naturalmente, spiegare chiaramente questi principi e convincere anche le persone dei paesi occidentali non è qualcosa che questo articolo di un account pubblico può fare. Dovremmo avere fiducia nel futuro, e se siamo uniti e superiamo questa fase, le nostre vite dovrebbero essere molto migliori tra qualche anno”. (qui trovate tutto il post)
Il secondo articolo che vi propongo è di Yao Yang Professore presso l'Istituto Nazionale di Ricerca sullo Sviluppo dell'Università di Pechino. In particolare mi sembra interessante la sua analisi della risposta cinese e i rischi da considerare, nonché le necessarie politiche governative che servirebbero.
Intanto c’è il tema del lavoro:
Quest'anno si potrebbe affrontare una significativa pressione sull'occupazione. Quest'anno il numero dei laureati universitari raggiungerà un nuovo massimo, superando i 12,2 milioni, il che aumenterà notevolmente la pressione sull'occupazione. In secondo luogo, molte imprese esportatrici potrebbero essere costrette a riorientarsi verso il mercato interno, il che potrebbe intensificare la concorrenza di mercato e di conseguenza aggravare la tendenza al calo dei prezzi. Inoltre, il tasso di cambio dello yuan potrebbe subire pressioni. Attualmente, il tasso di cambio dello yuan è sceso a un minimo storico, raggiungendo 7,4. Sebbene, dal punto di vista dei fondamentali economici, la situazione degli Stati Uniti non sia più rosea di quella della Cina, e le politiche di Trump potrebbero portare l'economia statunitense in una recessione, con un aumento dell'inflazione e un'entrata in stagflazione, tuttavia, poiché il sistema finanziario statunitense è più solido, in un contesto di generale stagnazione economica globale, i capitali potrebbero non defluire dagli Stati Uniti, ma affluire verso gli Stati Uniti, perché il suo bacino finanziario è enorme e ha una funzione di rifugio sicuro. Pertanto, il tasso di cambio dello yuan continuerà a subire pressioni.
Di fronte all'attuale situazione, come dovremmo rispondere, si chiede dunque Yao.
Sebbene alcuni sostengano il "disaccoppiamento" dagli Stati Uniti, ritenendo che se non si intraprende alcuna azione, l'imposizione di dazi porterà a una sostanziale paralisi del commercio diretto sino-americano, realizzando di fatto un "disaccoppiamento", tuttavia, a giudicare dalle parole e dalle azioni di Trump, esiste ancora spazio per i negoziati. I dazi del 34% si basavano su determinati calcoli, e sebbene tali calcoli siano stati ampiamente criticati, esiste almeno una formula di calcolo. Mentre i successivi dazi aggiuntivi del 50% sembrano più una decisione arbitraria, forse non pienamente discussa con i membri del gabinetto, e annunciata attraverso i social media anziché i canali normali. Inoltre, Trump ha recentemente affermato di attendere ancora con impazienza i negoziati con la Cina, il che indica che esiste effettivamente un margine di manovra per i negoziati.
In realtà, Trump ha avanzato due principali condizioni per i negoziati: in primo luogo, le imprese cinesi devono investire negli Stati Uniti. In secondo luogo, la Cina deve aprire i propri mercati. Per quanto riguarda gli investimenti delle imprese cinesi negli Stati Uniti, gli Stati Uniti hanno aggiunto requisiti specifici, come richiedere alle imprese cinesi di costituire joint venture con le imprese americane e di trasferire tecnologia alle imprese americane. Su questo punto, ci sono molte voci contrarie in Cina, che si chiedono perché si debba trasferire tecnologia agli Stati Uniti. Tuttavia, questo è in realtà un "elogio" per la Cina. In passato, anche la Cina richiedeva alle imprese straniere di trasferire tecnologia in cambio dell'accesso al mercato, perché allora la tecnologia cinese era relativamente arretrata e aveva bisogno di ottenere tecnologia attraverso il mercato. Ora la situazione si è invertita: gli Stati Uniti e l'Europa stanno iniziando a chiedere alla Cina di scambiare tecnologia con l'accesso al mercato, il che riflette indirettamente il progresso tecnologico e la maggiore competitività della Cina. La Cina ha ancora un ampio margine di apertura nei propri mercati interni, in particolare nel settore dei servizi. Negli ultimi anni, la riforma è diventata più difficile da portare avanti. Ripensando al passato, in particolare al processo di riforma degli anni '90, gran parte di questo processo è stato spinto dalla pressione dell'apertura. Ad esempio, la riforma delle imprese statali, la riforma delle funzioni governative e il miglioramento di molte istituzioni giuridiche sono stati tutti promossi sotto la pressione dell'adesione all'OMC. Lo stesso vale per la riforma del settore bancario. Sulla base di ciò, la Cina può utilizzare un'apertura istituzionale di alto livello per promuovere una nuova tornata di riforme interne? Da questo punto di vista, raggiungere un nuovo accordo con gli Stati Uniti è fattibile, o almeno non si dovrebbe rinunciare a questo sforzo. Nella cassetta degli attrezzi delle politiche interne, ci sono ancora molti strumenti politici che non sono stati pienamente utilizzati, e si dovrebbe cogliere l'opportunità per trasformare la crisi in opportunità, e intensificare ulteriormente gli sforzi per promuovere la domanda interna. Quest'anno il governo ha già adottato misure su larga scala per promuovere la domanda interna, e la direzione è corretta, ma c'è ancora spazio per aumentare gli sforzi. Si dovrebbe prestare maggiore attenzione ai fattori chiave che influenzano la domanda interna, ovvero i "due grandi elefanti nella stanza". La promozione diretta dei consumi è piuttosto difficile, perché il consumo è una variabile endogena, ed è estremamente difficile aumentare il livello di consumo di 1,4 miliardi di persone uno per uno. Le attuali politiche di "sostituzione del vecchio con il nuovo" hanno un certo effetto, ma l'effetto reale non è così evidente come previsto. La ragione è che queste politiche appartengono ancora alla categoria delle politiche industriali, specificano la gamma di prodotti e non sono sufficientemente flessibili da usare, e la scala dei sussidi è relativamente limitata. L'anno scorso era di 200 miliardi di yuan, e quest'anno è aumentata a 300 miliardi di yuan, ma questa scala è ancora insufficiente a soddisfare la domanda.
Quali sono i due grandi elefanti nella stanza? Il primo "elefante" è la difficoltà finanziaria dei governi locali, un problema ampiamente noto. Il secondo "elefante" nella stanza è il settore immobiliare. Scrive il professore:
Il settore immobiliare è ancora in calo, anche se il tasso di calo si è ridotto, è ancora in calo su base annua, e questa situazione dura da quasi cinque anni. Questo continuo calo ha avuto un enorme impatto sulla domanda complessiva, dagli investimenti ai consumi, formando una serie di reazioni a catena. In realtà, sebbene i consumi in settori come il turismo e la ristorazione sembrino prosperi, come gli aeroporti affollati e le prenotazioni difficili nei ristoranti, la crescita dei consumi è ancora insufficiente. La ragione è il calo dei consumi di massa, in particolare del consumo abitativo. Per i cittadini comuni, l'acquisto di una casa non riguarda solo la proprietà stessa, ma anche la decorazione e i relativi consumi di supporto, e la scala di questi consumi è enorme. Nelle città di prima e seconda fascia, solo le spese di decorazione e arredamento possono raggiungere i 300-400.000 yuan, e il calo di questa spesa ingente ha un impatto significativo sul consumo complessivo. In realtà, la spesa dei governi locali e la spesa immobiliare rappresentano insieme circa la metà della domanda interna totale. Pertanto, ignorare la domanda di questi due settori e concentrarsi solo sui consumi individuali è ovviamente una strategia inefficiente. Al contrario, si dovrebbe prestare maggiore attenzione alla situazione finanziaria dei governi locali e al problema del calo del mercato immobiliare, che sarebbe una soluzione più efficace.
La conclusione del professore, in ogni caso, è che “sebbene la guerra commerciale lanciata da Trump sia aggressiva, non c'è bisogno di averne eccessiva paura, e in realtà c'è ancora spazio per i negoziati con Trump. A livello nazionale, la cassetta degli attrezzi delle politiche del governo centrale ha ancora molti strumenti da utilizzare. Finché questi strumenti saranno pienamente utilizzati, si sarà sicuramente in grado di affrontare con successo l'impatto di Trump 2.0 e di raggiungere l'obiettivo di crescita del 5% di quest'anno”. (qui trovate tutto il post)
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